Io non sono un maternatico. In effetti, non sono particolarmente bravo
né in maternatica nné a far calcoli. D'altra parte, come chiunque altro, in
ogni giorno della mia vita, in ogni singola ora di veglia, io mi servo dei
numeri. I numeri invadono i miei sogni e le mie fantasie, le mie speranze
e le mie ansie. Forse, se troviamo cosi difficile renderci conto di quanto
siamo completamente dipendenti dai numeri è proprio perché guardiamo il
mondo inforcando lenti numeriche che non ci togliamo mai. Sto dando
un'occhiata alla prima pagina del giornale di stamattina. Ho il sospetto
che la situazione sia abbastanza comune.
Il giornale, pubblicato il 12 giugno 1998, costa 45 penny. Lo sport è a
pagina 28. Il ministero delle finanze e del tesoro venderà proprietà
pubbliche per 12 miliardi di sterline - 4 miliardi I'anno; le autorità
locali si aspettano di raccogliere 2,75 miliardi; nel settore del pubblico
impiego i salari aumenteranno del 2,25%; l'investimento del governo è
diminuito dello 0,8% del prodotto interno lordo; l'investimento netto
nelle infrastrutture fino al 2002 sarà di 14 miliardi; la spesa pubblica
aumenterà del 2,75% e il Governo raccoglierà 1 miliardo di sterline
l'anno
vendendo proprietà non utilizzate. Il commento dei leader politici
è a
pagina 19, I'analisi finanziaria a pagina 21; Catherine Cookson è morta a
91 anni, 13 giorni prima del suo 92° compleanno; dal 1950 aveva scritto 85
best-seller, al ritmo di 2 all'anno, e aveva venduto 100 milioni di copie,
che le avevano fruttato 14 milioni di sterline, collocandola al 17° posto
fra le donne più ricche della Gran Bretagna; suo marito Tom ha 87 anni e
nel 1996 ha devoluto in beneficenza 100.000 sterline; la sua vicina
Gertrude Roberts ha 78 anni, il necrologio è a pagina 20 e a pagina 4
c'é
un commento sulla scomparsa della Cookson firmato dallo scrittore Hammond
Innes. Stephen Lawrence, un ragazzo di 18 anni, fu assassinato nel 1993;
sua madre ha 45 anni e 5 uomini, convocati a testimoniare, ne hanno
rispettivamente 21, 22, 21, 20 e 22; fino a tutto settembre la tariffa
massima applicata dalla Cable & Wireless per le telefonate di sabato
è
fissata a 50 penny, chi volesse scoprirne di più può chiamare lo 0800
056 8182; a pagina 3 c'é un orribile omicidio di matrice razzista;
le aktre seziono del giornale vanno dalle Notizie dall'Interno a pagina 5,
continuano a pagina 15, 17, 18, 20, 23, 24 e 29, fino ai Programmi
Radiofonici di pagina 31; il codice a barre del giornale è 9770261307354.
Ci sono ben 51 numeri su una sola pagina. Mi ci sono voluti meno di cinque
minuti a leggerla, mentre facevo colazione. Avevo fretta di arrivare alle
pagine dello sport, con i risultati delta Coppa del Mondo e i punteggi del
cricket: valanghe di numeri. Perciò, nella mezz'ora che mi occorre per
scorrere tutto it gorriale, probabilmente mi imbatto visivamente in circa
300 numeri, ai quali presto una certa attenzione. Alto stesso tempo, ero
sintonizzato su canale radio 4 - 93,5 MHZ - e altri numeri entravano nelle
mie orecchie, alcuni dei quali, di tanto in tanto, superavano la soglia
delta mia coscienza (it che non significa che gli altri non venissero
assolutamente elaborati). Dovetti controllare i numeri sul mio orologio da
polso - due delle dodici cifre che compaiono sul quadrante - per
assicurarmi di non essere in ritardo per friggere it giusto numero di
fette di bacon - tre per la precisione - a mia figlia Anna. I due orologi
digitali degli elettrodomestici di cucina avanzarono di 35 minuti mentre
io leggevo it giornale e cucinavo. Amy, la sorella maggiore di Anna, aveva
bisogno di 70 sterline per la gita scolastica. Mentre accompagnavo Anna a
scuola, andando a piedi, oltrepassammo 73 edifici, ciascuno dei quali
contrassegnato con un numero, e incrociammo molte automobili, anche quelle
con i loro bravi numeri. E tutto questo prima di cominciare a lavorare - e
it lavoro, ovviamente, comporta un'enorme quantità di altri numeri.
Facendo una stima molto, motto approssimativa, direi che in un'ora mi
imbatto in circa 1.000 numeri, in una giornata in 16.000, e in un anno in
circa 6 milioni. Le persone it cui lavoro comporta l'uso di numeri, per
esempio chi è impiegato nei supermercati, nelle banche, nelle ricevitorie
che accettano le giocate, nelle scuole o nelle agenzie di vendita, si
ritroveranno con un totale ben superiore a questo.
Dietro a tutte queste cifre ci sono vasti sistemi di altri numeri. Oggi
l'ora è stabilita in rapporto ai 1.440 minuti di una giornata di 24 ore. La
data odierna è fissata in base at numero di giorni trascorsi dal
1°
gennaio dell'anno 1 dell'era cristiana; l'età delle persone e la data
della loro morte dipendono entrambe da questo sistema numerico. Le
statistiche del ministero delle finanze e del tesoro si basano su altre
statistiche, che hanno a che fare con i conti pubblici, to sviluppo
economico, e cosi via, le quali a loro volta si fondano sulle transazioni
mensili, settimanali e quotidiane effettuate da un enorme numero di enti
pubblici, aziende private e individui - compresa la signora Cookson, il
suo editore, il suo stampatore, il suo commercialista e la società che si
occupa delle sue PR.
Non tutti i numeri sono uguali. Sulla prima pagina del mio giornale ci
sono numeri interi e frazioni decimali. Alcuni numeri indicano quanti
oggetti ci sono in un insieme; può trattarsi di oggetti concreti,
visibili, come 5 uomini, oppure di oggetti invisibili come 91 anni, o
ancora di oggetti potenzialmente visibili, io credo, come 50 pence,
100.000 sterline o 14.000.000.000 di sterline. Ci sono anche numeri usati
esclusivamente per ordinare oggetti in una sequenza, per esempio, il 92°
compleanno della signora Cookson; anche la data del 12 giugno ricade in
questa categoria, come la pagina numero 15. Infine, ci sono numeri per i
quali né il valore assoluto, né la posizione in una sequenza hanno
importanza alcuna: si tratta del numero telefonico e del codice a barre.
Questi ultimi non sono altro che etichette numeriche.
Confesso che non avevo mai prestato attenzione alla nostra dipendenza
dai numeri finché, nel contesto della mia attività di neuropsicologo,
cominciai a sottoporre alcune persone non più in grado di servirsene a un
test. Uno dei casi più straordinari capitatomi fu quello di
un'albergatrice italiana, che aveva tenuto i conti del suo hotel
finché
non subi un ictus; dopo l'evento rimase praticamente cieca e sorda a tutti
i numeri superiori al 4. Questo implicò che non poteva più effettuare
acquisti, telefonare, né fare una miriade di altre cose che in precedenza
aveva date per scontate.
Poi mi imbattei in un giovane uomo, un tipo intelligente, con un diploma,
professionalmente qualificato. Era perfino in gamba con la statistica,
purché potesse usare un computer - e ciò nondimeno era incapace di compiere
perfino le più semplici operazioni quotidiane implicanti l'uso dei numeri.
Per lui, l'aritmetica era un disastro; ma non si trattava solo di conti. La
maggior parte di noi può stimare il numero di oggetti presenti in un
insieme dando loro un'occhiata, senza bisogno di contarli, purché essi
non siano più di circa cinque. Questo giovane doveva contare, anche se
aveva di fronte solo due oggetti! Questa non era mancanza di istruzione,
ma qualcosa di tutt'altro ordine.
Negli anni Ottanta, sulle riviste specializzate, cominciarono a comparire
resoconti di esperimenti nei quali si dimostrava che bambini appena nati,
i quali di certo non avevano appreso a contare, erano in grado di fare
quello che a questo giovane proprio non riusciva: riconoscere il numero
degli oggetti che vedevano dando loro un semplice sguardo. Naturalmente,
provai una versione di uno di questi esperimenti con la nostra prima
figlia, quando aveva solo quattro settimane di vita. La sistemammo
all'interno di una grande scatola di cartone, una di quelle in cui ci
consegnavano quantità industriali di pannolini, e le facemmo, guardare
uno, due, tre o quattro rettangoli luminosi verdi che comparivano
e scomparivano sullo schermo verde scuro di un computer. La risposta della
bambina a quanto vedeva era misurata in base alla frequenza dei suoi
movimenti di suzione su una tettarella di gomma collegata a un trasduttore
di pressione, a sua volta collegato al computer. Quanto più la
bambina succhiava, tanto più interessata dimostrava di essere. Stavamo
ottenendo risultati molto promettenti, quando il nostro soggetto decise
che non avrebbe più succhiato la tettarella. Da allora, le è rimasta
un'avversione particolare a fare cose di cui non riesce a capire la logica.
A quel tempo mi venne in mente, anche senza davvero comprenderlo
fino in fondo, che se si nasce con la capacità di riconoscere il numero
degli oggetti che si vedono, allora forse è anche possibile nascere con
un handicap che impedisca a questa abilità di svilupparsi normalmente.
Ricordo di aver pensato che forse esiste un equivalente numerico della
cecità cromatica. Dieci anni dopo, cominciai a chiedermi se non fosse
proprio questo a non funzionare nelle persone come il giovane paziente che
doveva contare anche due soli oggetti. Partire da queste considerazioni e
arrivare a chiedersi se il genoma umano contenga normalmente istruzioni
per costruire circuiti cerebrali specializzati nel trattamento dei numeri
fu, dal punto di vista concettuale, un passo relativamente breve. Ma
questi circuiti furono costruiti proprio in vista di questo scopo, oppure
si erano già evoluti per qualche altra funzione e vennero poi cooptati a
causa della necessità di far fronte ai numeri?
La visione cromatica, la capacità di vedere i colori, è un'abilità
universale. Chiunque, salvo chi è portatore di particolari anormalità
genetiche identificabili, vede il mondo a colori. Ma è altrettanto vero
che tutti - con la sola eccezione di chi abbia una qualche anormalità
genetica - vedono,o pensano, il mondo in termini di numeri? Se pensare in
termini numerici è qualcosa che dev'essere insegnato, allora dovrebbero
esserci persone che non hanno ricevuto tale insegnamento e che quindi non
sono in grado di applicarlo.
Noi, nella nostra società tecnologicamente avanzata, dedita al commercio
e agli scambi, dobbiamo saper usare i numeri; pertanto l'insegnamento dei
fondamentali concetti matematici è emerso come un ingrediente chiave del
nostro sistema scolastico. Ma che dire delle società che vivono ancora
all'"età della pietra", con una tecnologia scarsissima e ben pochi scambi?
Anch'esse usano i numeri? Contano? In altre parole, le abilità numeriche
sono davvero universali?
Scoprirlo non è assolutamente una cosa semplice come potrebbe sembrare a
prima vista. Vi farò un esempio. Un modo per capire se una cultura usa i
numeri consiste nell'indagare se i suoi membri li rappresentino in modo
simbolico, oralmente o per iscritto. L'inglese dispone di vocaboli
specifici per esprimere i numeri, e di una sintassi che ci consente di
nominare numeri grandi quanto vogliamo; d'altra parte, la maggior parte
dei linguaggi australiani indigeni dispone di parole solo per riferirsi a
"uno", "due" e "molti". Gli utenti di questi linguaggi, in particolare gli
aborigeni del Deserto Centrale, che vivono in un'economia tradizionale di
cacciatori-raccoglitori, fanno ben poco commercio. La loro tecnologia,
sebbene squisitamente adatta al loro stile di vita, è limitata alla
realizzazione di pochi oggetti, per esempio i boomerang, gli scudi e i
recipienti di corteccia d'albero. Se c'è qualcuno che probabilmente non
usa i numeri, e non pensa al mondo in termini numerici, si tratta dunque
di questi uomini. Il problema è come fare a dirlo. Oggi, tutti gli
aborigeni si sono imbattuti nella cultura occidentale del denaro e nella
lingua inglese, con i suoi vocaboli specifici per indicare i numeri, e con
i simboli numerici scritti. La domanda, perciò, assume un taglio storico:
prima che avessero tali contatti esterni, queste genti usavano i numeri?
Se la risposta fosse negativa, ciò rappresenterebbe un grosso colpo inferto
all'idea dell'universalità di un'abilità numerica specializzata.
Un'ovvia obiezione a questa idea è che, anche all'interno di una stessa
società, alcune persone sono davvero bravissime con i numeri, mentre altre
si accostano ad essi con paura e avversione. Di certo, se nascessimo tutti
pressappoco, con gli stessi circuiti cerebrali per l'elaborazione dei
numeri, le nostre abilità dovrebbero essere all'incirca le stesse, proprio
come la maggior parte di noi nasce con abilità quasi identiche di vedere i
colori o far uso del linguaggio (anche questa è un'abilità che si ritiene
dipendere da geni speciali, tuttora non identificati). Ma forse questo
sarebbe come pretendere che tutti dimostrino lo stesso gusto
nel'abbinamento dei colori dei vestiti, o nella scelta delle decorazioni e
dell'arredamento della loro casa; oppure equivarrebbe a sostenere che noi
tutti dovremmo essere ugualmente bravi a mettere insieme le parole per
creare opere di narrativa o di poesia. Potrebbe emergere che esistono
capacità fondamentali effettivamente innate e universali, e che le
differenze nelle prestazioni degli individui adulti dipendono
dall'esperienza e dall'istruzione.
Seguendo queste linee di ragionamento, cominciai a chiedermi in che cosa
potessero consistere queste capacità fondamentali. Un buon punto di
partenza sembrava costituito dalle cose che i bambini piccolissimi sono in
grado di fare senza istruzioni. Come pensano al mondo? Lo vedono
in termini di numeri di oggetti, proprio come lo vedono, in termini di
colore? Un'altra linea per affrontare il problema era quella di scoprire
quali concetti numerici sembrassero naturali e facili da afferrare. Per
esempio, notai nei miei stessi figli come quelle che mi avevano insegnato a
chiamare "frazioni proprie" (1/2, 3/4, 7/8) risultassero loro facili,
mentre le "frazioni improprie" fossero percepite puù difficili. La
maggior parte della gente trova oscure le probabilità. Il calcolo può
essere reso semplice? Le idee che sembrano semplici e naturali sono quelle
innate, oppure queue che vengono apprese per prime, o magari insegnate
meglio?
Quel che è certo è che intorno all'istruzione maternatica c'è molta ansia.
I bambini si sentono a disagio quando non riescono, e i loro genitori
anche. I governi si preoccupano del fatto che la popolazione giovanile non
abbia le conoscenze adeguate per competere in un mondo altamente
tecnologico e pertanto profondamente permeato di numeri. Se il sistema
scolastico fondasse più saldamente i suoi insegnamenti sugli strumenti
maternatici che abbiamo in dotazione dalla nascita, sarebbe forse
possibile migliorare la nostra comprensione dei concetti matematici?
Queste sono alcune delle domande che hanno portato a questo libro. Esse mi
hanno introdotto a molti argomenti affascinanti, completamente nuovi per
me: la datazione delle rocce mediante la termoluminescenza, le complessità
della numerazione degli edifici veneziani, il linguaggio dei segni degli
aborigeni e il modo di contare degli indigeni di Papua Nuova Guinea, che
usano le parti del corpo per rappresentare i numeri; e ancora, le prassi
agricole etiopiche, la poesia dell'antica valle dell'Indo, le origini dei
vocaboli specifici usati per esprimere i numeri, e il sistema di Beda il
Venerabile per contare con le dita. Ho anche dovuto rivedere molto di ciò
che pensavo di sapere sui numeri e sul cervello.
Nel frattempo, ho ricevuto I'aiuto di molte persone. Sono stato colpito
dalla disponibilità dimostrata da esperti peraltro molto impegnati a
rispondere a domande ingenue e spesso stupide poste loro da un perfetto
sconosciuto. Fra di essi ci sono Jean Clottes, Gordon Conway, Les Hiatt,
Rhys Jones, Deborah Howard, Karen McComb, Alexander Marshack, Bert
Roberts, Robert Sharer, Stephen Shennan e David Wilkins.
Nel corso degli anni ho tratto immenso beneficio dal lavoro a stretto
contatto svolto con brillanti scienziati, esperti del modo in cui il
cervello tratta i numeri: Bob Audley, Lisa Cipolotti, Margarete Delazer,
Franco Denes, Marcus Giaquinto, Luisa Girelli, Jonckheere, Carlo Semenza,
Elizabeth Warrington e Marco Zorzi. Questo nostro lavoro è stato
generosamente finanziato dalla Commissione dell'Unione Europea e dallo
Welcome Trust.
Ho anche tratto grandissimo beneficio dalle discussioni con Mark Ashcraft,
Peter Bryant, Jamie Campbell, Marinella Capelletti, Alfonso Caramazza,
Laurent Cohen, Richard Cowan, Stanislas Dehaene, Ann Dowker, Karen Fuson,
Randy Gallistel, Rochel Gelman, Alessia Granà, Patrick Haggard, Thom Heyd,
Jo-Anne LeFevre, Giuseppe Longo, Daniela Lucangeli, George Mandler,
Ference Marton, Mike McCloskey, Terezinha Nunes, Marie-Pascale Noël, Mauro
Pesenti, Manuela Piazza, Lauren Resnick, Sonia Sciama, Xavier Seron, Tim
Shallice, David Skuse, Faraneh Varga-Khadem, John Whalen, Karen Wynn, e
con il compianto Neil O'Connor. Alcune di queste discussioni ebbero luogo
nel corso del seminario <<The Concept of Number and Simple Arithmetic>>,
sponsorizzato dalla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di
Trieste, organizzato da Tim Shallice, Direttore di Scienze Cognitive. Sean
Hawkins e Martin Hill hanno eseguito preziose ricerce bibliografiche. Il
mio ruolo di editor della rivista specializzata "Mathematical Cognition",
pubblicata dalla Psychological Press, mi ha aiutato a tenermi aggiornato
sugli ultimi sviluppi.
Il filosofo Marcus Giaquinto ha ispirato il mio approccio e si è
gentilmente prestato a legggere tutti i capitoli del libro offrendomi le
sue critiche acute ma costruttive. Il disegnatore e regista Storm
Thorgerson ha lavorato con me per adattare alcune delle idee del libro in
modo che potessero essere portate anche su altri media, e ha cercato di
assicurare che il materiale, nella sua forma scritta, risultasse per il
lettore chiaro e avvincente come lo era stato per me. Le mie figlie Amy e
Anna mi sono state di grande ispirazione, e non solo in quanto fonti di
dati - sempre a portata di mano e spesso involontarie - sul modo in cui i
bambini si costruiscono le loro idee sui numeri, ma anche perché le loro
consapevoli introspezioni sui propri processi mentali si rivelarono
preziose. La mia compagna, Diana Laurillard, ha partecipato al libro a tal
punto, e in cos! tanti modi, che ormai è difficile identificare i suoi
contributi, se non procedendo per esclusione: le idee meno sensate non
sono sue.
Lisa Cipolotti, Margarete Delazer e Norah Frederickson hanno esaminato
con occhio esperto alcuni capitoli. Il mio editor originale alla Macmillan,
Clare Alexander, ha commissionato il libro fornendo commenti
intelligenti e sensibili ai primi due capitoli. Georgina Morley, della Macmillan,
e il dottor Michael Rodgers mi hanno offerto consigh dettagliati su
molti aspetti del testo. Stephen Morrow, della Free Press, il mio editore
statunitense, mi ha dato, oltre a commenti dettagliati, alcuni suggerimenti
strategici sull'organizzazione di tutto il libro. John Woodruff ha
effettuato uno scrupoloso lavoro di editing su tutto il testo.
Probabilmente nulla di tutto questo avrebbe mai visto la luce se non fosse
stato per il mio agente Peter Robinson; fu la sua fede nel fatto che la
gente sarebbe stata disposta a leggere un libro nel cui titolo comparisse
la parola <<matematico>> a rassicurare me, e a persuadere i miei editori,
della fattibilità del progetto.
Per me, questa è stata una meraviliosa avventura, nel corso della quale mi
sono addentrato nella storia, nell'antropologia, nella psicologia e nelle
neuroscienze dei concetti che danno forma al nostro modo, di pensare il
mondo. Spero che possa essere cosi anche per voi.