Italian Edition
 
 
    Prefazione
1. Pensare per numeri
2. Tutti contano
3. Nati per contare
4. Numeri nel cervello
5. Mano, spazio e
     cervello
6. Maggiore e minore
7. Competenti e
     incompetenti
     con i numeri
8. Matematica de casa,
     de strada e da
     scuola
9. Numeri facili e
     numeri difficili
    Appendice
    Letture raccomandate
    e note ai capitoli
    Bibliografia
    Indice analitico
 
 
 
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Naze sugaku ga tokui na hito to nigate na hito ga irunoka?
(Why are some people good, but others bad at maths?)
 

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Intelligenza Matematica
 
vincere le paura dei numeri scoprendo le doti innate della 
mente
 
Brian Butterworth
 


Prefazione
 

Io non sono un maternatico. In effetti, non sono particolarmente bravo né in maternatica nné a far calcoli. D'altra parte, come chiunque altro, in ogni giorno della mia vita, in ogni singola ora di veglia, io mi servo dei numeri. I numeri invadono i miei sogni e le mie fantasie, le mie speranze e le mie ansie. Forse, se troviamo cosi difficile renderci conto di quanto siamo completamente dipendenti dai numeri è proprio perché guardiamo il mondo inforcando lenti numeriche che non ci togliamo mai. Sto dando un'occhiata alla prima pagina del giornale di stamattina. Ho il sospetto che la situazione sia abbastanza comune.

Il giornale, pubblicato il 12 giugno 1998, costa 45 penny. Lo sport è a pagina 28. Il ministero delle finanze e del tesoro venderà proprietà pubbliche per 12 miliardi di sterline - 4 miliardi I'anno; le autorità locali si aspettano di raccogliere 2,75 miliardi; nel settore del pubblico impiego i salari aumenteranno del 2,25%; l'investimento del governo è diminuito dello 0,8% del prodotto interno lordo; l'investimento netto nelle infrastrutture fino al 2002 sarà di 14 miliardi; la spesa pubblica aumenterà del 2,75% e il Governo raccoglierà 1 miliardo di sterline l'anno vendendo proprietà non utilizzate. Il commento dei leader politici è a pagina 19, I'analisi finanziaria a pagina 21; Catherine Cookson è morta a 91 anni, 13 giorni prima del suo 92° compleanno; dal 1950 aveva scritto 85 best-seller, al ritmo di 2 all'anno, e aveva venduto 100 milioni di copie, che le avevano fruttato 14 milioni di sterline, collocandola al 17° posto fra le donne più ricche della Gran Bretagna; suo marito Tom ha 87 anni e nel 1996 ha devoluto in beneficenza 100.000 sterline; la sua vicina Gertrude Roberts ha 78 anni, il necrologio è a pagina 20 e a pagina 4 c'é un commento sulla scomparsa della Cookson firmato dallo scrittore Hammond Innes. Stephen Lawrence, un ragazzo di 18 anni, fu assassinato nel 1993; sua madre ha 45 anni e 5 uomini, convocati a testimoniare, ne hanno rispettivamente 21, 22, 21, 20 e 22; fino a tutto settembre la tariffa massima applicata dalla Cable & Wireless per le telefonate di sabato è fissata a 50 penny, chi volesse scoprirne di più può chiamare lo 0800 056 8182; a pagina 3 c'é un orribile omicidio di matrice razzista; le aktre seziono del giornale vanno dalle Notizie dall'Interno a pagina 5, continuano a pagina 15, 17, 18, 20, 23, 24 e 29, fino ai Programmi Radiofonici di pagina 31; il codice a barre del giornale è 9770261307354.

Ci sono ben 51 numeri su una sola pagina. Mi ci sono voluti meno di cinque minuti a leggerla, mentre facevo colazione. Avevo fretta di arrivare alle pagine dello sport, con i risultati delta Coppa del Mondo e i punteggi del cricket: valanghe di numeri. Perciò, nella mezz'ora che mi occorre per scorrere tutto it gorriale, probabilmente mi imbatto visivamente in circa 300 numeri, ai quali presto una certa attenzione. Alto stesso tempo, ero sintonizzato su canale radio 4 - 93,5 MHZ - e altri numeri entravano nelle mie orecchie, alcuni dei quali, di tanto in tanto, superavano la soglia delta mia coscienza (it che non significa che gli altri non venissero assolutamente elaborati). Dovetti controllare i numeri sul mio orologio da polso - due delle dodici cifre che compaiono sul quadrante - per assicurarmi di non essere in ritardo per friggere it giusto numero di fette di bacon - tre per la precisione - a mia figlia Anna. I due orologi digitali degli elettrodomestici di cucina avanzarono di 35 minuti mentre io leggevo it giornale e cucinavo. Amy, la sorella maggiore di Anna, aveva bisogno di 70 sterline per la gita scolastica. Mentre accompagnavo Anna a scuola, andando a piedi, oltrepassammo 73 edifici, ciascuno dei quali contrassegnato con un numero, e incrociammo molte automobili, anche quelle con i loro bravi numeri. E tutto questo prima di cominciare a lavorare - e it lavoro, ovviamente, comporta un'enorme quantità di altri numeri.

Facendo una stima molto, motto approssimativa, direi che in un'ora mi imbatto in circa 1.000 numeri, in una giornata in 16.000, e in un anno in circa 6 milioni. Le persone it cui lavoro comporta l'uso di numeri, per esempio chi è impiegato nei supermercati, nelle banche, nelle ricevitorie che accettano le giocate, nelle scuole o nelle agenzie di vendita, si ritroveranno con un totale ben superiore a questo.

Dietro a tutte queste cifre ci sono vasti sistemi di altri numeri. Oggi l'ora è stabilita in rapporto ai 1.440 minuti di una giornata di 24 ore. La data odierna è fissata in base at numero di giorni trascorsi dal 1° gennaio dell'anno 1 dell'era cristiana; l'età delle persone e la data della loro morte dipendono entrambe da questo sistema numerico. Le statistiche del ministero delle finanze e del tesoro si basano su altre statistiche, che hanno a che fare con i conti pubblici, to sviluppo economico, e cosi via, le quali a loro volta si fondano sulle transazioni mensili, settimanali e quotidiane effettuate da un enorme numero di enti pubblici, aziende private e individui - compresa la signora Cookson, il suo editore, il suo stampatore, il suo commercialista e la società che si occupa delle sue PR.

Non tutti i numeri sono uguali. Sulla prima pagina del mio giornale ci sono numeri interi e frazioni decimali. Alcuni numeri indicano quanti oggetti ci sono in un insieme; può trattarsi di oggetti concreti, visibili, come 5 uomini, oppure di oggetti invisibili come 91 anni, o ancora di oggetti potenzialmente visibili, io credo, come 50 pence, 100.000 sterline o 14.000.000.000 di sterline. Ci sono anche numeri usati esclusivamente per ordinare oggetti in una sequenza, per esempio, il 92° compleanno della signora Cookson; anche la data del 12 giugno ricade in questa categoria, come la pagina numero 15. Infine, ci sono numeri per i quali né il valore assoluto, né la posizione in una sequenza hanno importanza alcuna: si tratta del numero telefonico e del codice a barre. Questi ultimi non sono altro che etichette numeriche.

Confesso che non avevo mai prestato attenzione alla nostra dipendenza dai numeri finché, nel contesto della mia attività di neuropsicologo, cominciai a sottoporre alcune persone non più in grado di servirsene a un test. Uno dei casi più straordinari capitatomi fu quello di un'albergatrice italiana, che aveva tenuto i conti del suo hotel finché non subi un ictus; dopo l'evento rimase praticamente cieca e sorda a tutti i numeri superiori al 4. Questo implicò che non poteva più effettuare acquisti, telefonare, né fare una miriade di altre cose che in precedenza aveva date per scontate.

Poi mi imbattei in un giovane uomo, un tipo intelligente, con un diploma, professionalmente qualificato. Era perfino in gamba con la statistica, purché potesse usare un computer - e ciò nondimeno era incapace di compiere perfino le più semplici operazioni quotidiane implicanti l'uso dei numeri. Per lui, l'aritmetica era un disastro; ma non si trattava solo di conti. La maggior parte di noi può stimare il numero di oggetti presenti in un insieme dando loro un'occhiata, senza bisogno di contarli, purché essi non siano più di circa cinque. Questo giovane doveva contare, anche se aveva di fronte solo due oggetti! Questa non era mancanza di istruzione, ma qualcosa di tutt'altro ordine.

Negli anni Ottanta, sulle riviste specializzate, cominciarono a comparire resoconti di esperimenti nei quali si dimostrava che bambini appena nati, i quali di certo non avevano appreso a contare, erano in grado di fare quello che a questo giovane proprio non riusciva: riconoscere il numero degli oggetti che vedevano dando loro un semplice sguardo. Naturalmente, provai una versione di uno di questi esperimenti con la nostra prima figlia, quando aveva solo quattro settimane di vita. La sistemammo all'interno di una grande scatola di cartone, una di quelle in cui ci consegnavano quantità industriali di pannolini, e le facemmo, guardare uno, due, tre o quattro rettangoli luminosi verdi che comparivano e scomparivano sullo schermo verde scuro di un computer. La risposta della bambina a quanto vedeva era misurata in base alla frequenza dei suoi movimenti di suzione su una tettarella di gomma collegata a un trasduttore di pressione, a sua volta collegato al computer. Quanto più la bambina succhiava, tanto più interessata dimostrava di essere. Stavamo ottenendo risultati molto promettenti, quando il nostro soggetto decise che non avrebbe più succhiato la tettarella. Da allora, le è rimasta un'avversione particolare a fare cose di cui non riesce a capire la logica.

A quel tempo mi venne in mente, anche senza davvero comprenderlo fino in fondo, che se si nasce con la capacità di riconoscere il numero degli oggetti che si vedono, allora forse è anche possibile nascere con un handicap che impedisca a questa abilità di svilupparsi normalmente. Ricordo di aver pensato che forse esiste un equivalente numerico della cecità cromatica. Dieci anni dopo, cominciai a chiedermi se non fosse proprio questo a non funzionare nelle persone come il giovane paziente che doveva contare anche due soli oggetti. Partire da queste considerazioni e arrivare a chiedersi se il genoma umano contenga normalmente istruzioni per costruire circuiti cerebrali specializzati nel trattamento dei numeri fu, dal punto di vista concettuale, un passo relativamente breve. Ma questi circuiti furono costruiti proprio in vista di questo scopo, oppure si erano già evoluti per qualche altra funzione e vennero poi cooptati a causa della necessità di far fronte ai numeri?

La visione cromatica, la capacità di vedere i colori, è un'abilità universale. Chiunque, salvo chi è portatore di particolari anormalità genetiche identificabili, vede il mondo a colori. Ma è altrettanto vero che tutti - con la sola eccezione di chi abbia una qualche anormalità genetica - vedono,o pensano, il mondo in termini di numeri? Se pensare in termini numerici è qualcosa che dev'essere insegnato, allora dovrebbero esserci persone che non hanno ricevuto tale insegnamento e che quindi non sono in grado di applicarlo.

Noi, nella nostra società tecnologicamente avanzata, dedita al commercio e agli scambi, dobbiamo saper usare i numeri; pertanto l'insegnamento dei fondamentali concetti matematici è emerso come un ingrediente chiave del nostro sistema scolastico. Ma che dire delle società che vivono ancora all'"età della pietra", con una tecnologia scarsissima e ben pochi scambi? Anch'esse usano i numeri? Contano? In altre parole, le abilità numeriche sono davvero universali?

Scoprirlo non è assolutamente una cosa semplice come potrebbe sembrare a prima vista. Vi farò un esempio. Un modo per capire se una cultura usa i numeri consiste nell'indagare se i suoi membri li rappresentino in modo simbolico, oralmente o per iscritto. L'inglese dispone di vocaboli specifici per esprimere i numeri, e di una sintassi che ci consente di nominare numeri grandi quanto vogliamo; d'altra parte, la maggior parte dei linguaggi australiani indigeni dispone di parole solo per riferirsi a "uno", "due" e "molti". Gli utenti di questi linguaggi, in particolare gli aborigeni del Deserto Centrale, che vivono in un'economia tradizionale di cacciatori-raccoglitori, fanno ben poco commercio. La loro tecnologia, sebbene squisitamente adatta al loro stile di vita, è limitata alla realizzazione di pochi oggetti, per esempio i boomerang, gli scudi e i recipienti di corteccia d'albero. Se c'è qualcuno che probabilmente non usa i numeri, e non pensa al mondo in termini numerici, si tratta dunque di questi uomini. Il problema è come fare a dirlo. Oggi, tutti gli aborigeni si sono imbattuti nella cultura occidentale del denaro e nella lingua inglese, con i suoi vocaboli specifici per indicare i numeri, e con i simboli numerici scritti. La domanda, perciò, assume un taglio storico: prima che avessero tali contatti esterni, queste genti usavano i numeri? Se la risposta fosse negativa, ciò rappresenterebbe un grosso colpo inferto all'idea dell'universalità di un'abilità numerica specializzata.

Un'ovvia obiezione a questa idea è che, anche all'interno di una stessa società, alcune persone sono davvero bravissime con i numeri, mentre altre si accostano ad essi con paura e avversione. Di certo, se nascessimo tutti pressappoco, con gli stessi circuiti cerebrali per l'elaborazione dei numeri, le nostre abilità dovrebbero essere all'incirca le stesse, proprio come la maggior parte di noi nasce con abilità quasi identiche di vedere i colori o far uso del linguaggio (anche questa è un'abilità che si ritiene dipendere da geni speciali, tuttora non identificati). Ma forse questo sarebbe come pretendere che tutti dimostrino lo stesso gusto nel'abbinamento dei colori dei vestiti, o nella scelta delle decorazioni e dell'arredamento della loro casa; oppure equivarrebbe a sostenere che noi tutti dovremmo essere ugualmente bravi a mettere insieme le parole per creare opere di narrativa o di poesia. Potrebbe emergere che esistono capacità fondamentali effettivamente innate e universali, e che le differenze nelle prestazioni degli individui adulti dipendono dall'esperienza e dall'istruzione.

Seguendo queste linee di ragionamento, cominciai a chiedermi in che cosa potessero consistere queste capacità fondamentali. Un buon punto di partenza sembrava costituito dalle cose che i bambini piccolissimi sono in grado di fare senza istruzioni. Come pensano al mondo? Lo vedono in termini di numeri di oggetti, proprio come lo vedono, in termini di colore? Un'altra linea per affrontare il problema era quella di scoprire quali concetti numerici sembrassero naturali e facili da afferrare. Per esempio, notai nei miei stessi figli come quelle che mi avevano insegnato a chiamare "frazioni proprie" (1/2, 3/4, 7/8) risultassero loro facili, mentre le "frazioni improprie" fossero percepite puù difficili. La maggior parte della gente trova oscure le probabilità. Il calcolo può essere reso semplice? Le idee che sembrano semplici e naturali sono quelle innate, oppure queue che vengono apprese per prime, o magari insegnate meglio?

Quel che è certo è che intorno all'istruzione maternatica c'è molta ansia. I bambini si sentono a disagio quando non riescono, e i loro genitori anche. I governi si preoccupano del fatto che la popolazione giovanile non abbia le conoscenze adeguate per competere in un mondo altamente tecnologico e pertanto profondamente permeato di numeri. Se il sistema scolastico fondasse più saldamente i suoi insegnamenti sugli strumenti maternatici che abbiamo in dotazione dalla nascita, sarebbe forse possibile migliorare la nostra comprensione dei concetti matematici?

Queste sono alcune delle domande che hanno portato a questo libro. Esse mi hanno introdotto a molti argomenti affascinanti, completamente nuovi per me: la datazione delle rocce mediante la termoluminescenza, le complessità della numerazione degli edifici veneziani, il linguaggio dei segni degli aborigeni e il modo di contare degli indigeni di Papua Nuova Guinea, che usano le parti del corpo per rappresentare i numeri; e ancora, le prassi agricole etiopiche, la poesia dell'antica valle dell'Indo, le origini dei vocaboli specifici usati per esprimere i numeri, e il sistema di Beda il Venerabile per contare con le dita. Ho anche dovuto rivedere molto di ciò che pensavo di sapere sui numeri e sul cervello.

Nel frattempo, ho ricevuto I'aiuto di molte persone. Sono stato colpito dalla disponibilità dimostrata da esperti peraltro molto impegnati a rispondere a domande ingenue e spesso stupide poste loro da un perfetto sconosciuto. Fra di essi ci sono Jean Clottes, Gordon Conway, Les Hiatt, Rhys Jones, Deborah Howard, Karen McComb, Alexander Marshack, Bert Roberts, Robert Sharer, Stephen Shennan e David Wilkins.

Nel corso degli anni ho tratto immenso beneficio dal lavoro a stretto contatto svolto con brillanti scienziati, esperti del modo in cui il cervello tratta i numeri: Bob Audley, Lisa Cipolotti, Margarete Delazer, Franco Denes, Marcus Giaquinto, Luisa Girelli, Jonckheere, Carlo Semenza, Elizabeth Warrington e Marco Zorzi. Questo nostro lavoro è stato generosamente finanziato dalla Commissione dell'Unione Europea e dallo Welcome Trust.

Ho anche tratto grandissimo beneficio dalle discussioni con Mark Ashcraft, Peter Bryant, Jamie Campbell, Marinella Capelletti, Alfonso Caramazza, Laurent Cohen, Richard Cowan, Stanislas Dehaene, Ann Dowker, Karen Fuson, Randy Gallistel, Rochel Gelman, Alessia Granà, Patrick Haggard, Thom Heyd, Jo-Anne LeFevre, Giuseppe Longo, Daniela Lucangeli, George Mandler, Ference Marton, Mike McCloskey, Terezinha Nunes, Marie-Pascale Noël, Mauro Pesenti, Manuela Piazza, Lauren Resnick, Sonia Sciama, Xavier Seron, Tim Shallice, David Skuse, Faraneh Varga-Khadem, John Whalen, Karen Wynn, e con il compianto Neil O'Connor. Alcune di queste discussioni ebbero luogo nel corso del seminario <<The Concept of Number and Simple Arithmetic>>, sponsorizzato dalla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, organizzato da Tim Shallice, Direttore di Scienze Cognitive. Sean Hawkins e Martin Hill hanno eseguito preziose ricerce bibliografiche. Il mio ruolo di editor della rivista specializzata "Mathematical Cognition", pubblicata dalla Psychological Press, mi ha aiutato a tenermi aggiornato sugli ultimi sviluppi.

Il filosofo Marcus Giaquinto ha ispirato il mio approccio e si è gentilmente prestato a legggere tutti i capitoli del libro offrendomi le sue critiche acute ma costruttive. Il disegnatore e regista Storm Thorgerson ha lavorato con me per adattare alcune delle idee del libro in modo che potessero essere portate anche su altri media, e ha cercato di assicurare che il materiale, nella sua forma scritta, risultasse per il lettore chiaro e avvincente come lo era stato per me. Le mie figlie Amy e Anna mi sono state di grande ispirazione, e non solo in quanto fonti di dati - sempre a portata di mano e spesso involontarie - sul modo in cui i bambini si costruiscono le loro idee sui numeri, ma anche perché le loro consapevoli introspezioni sui propri processi mentali si rivelarono preziose. La mia compagna, Diana Laurillard, ha partecipato al libro a tal punto, e in cos! tanti modi, che ormai è difficile identificare i suoi contributi, se non procedendo per esclusione: le idee meno sensate non sono sue.

Lisa Cipolotti, Margarete Delazer e Norah Frederickson hanno esaminato con occhio esperto alcuni capitoli. Il mio editor originale alla Macmillan, Clare Alexander, ha commissionato il libro fornendo commenti intelligenti e sensibili ai primi due capitoli. Georgina Morley, della Macmillan, e il dottor Michael Rodgers mi hanno offerto consigh dettagliati su molti aspetti del testo. Stephen Morrow, della Free Press, il mio editore statunitense, mi ha dato, oltre a commenti dettagliati, alcuni suggerimenti strategici sull'organizzazione di tutto il libro. John Woodruff ha effettuato uno scrupoloso lavoro di editing su tutto il testo.

Probabilmente nulla di tutto questo avrebbe mai visto la luce se non fosse stato per il mio agente Peter Robinson; fu la sua fede nel fatto che la gente sarebbe stata disposta a leggere un libro nel cui titolo comparisse la parola <<matematico>> a rassicurare me, e a persuadere i miei editori, della fattibilità del progetto.

Per me, questa è stata una meraviliosa avventura, nel corso della quale mi sono addentrato nella storia, nell'antropologia, nella psicologia e nelle neuroscienze dei concetti che danno forma al nostro modo, di pensare il mondo. Spero che possa essere cosi anche per voi.

(October, 1998)
 

Brian Butterworth
 


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